21 marzo 2011

COME MIGLIORARE I LINK TRA LAUREATI, UNIVERSITÁ E IL MONDO DEL LAVORO.

Per migliorare i link tra laureati, università e il mondo del lavoro, il progetto Alma Laurea, dal 1994, ha raccolto i curriculum di 1.500.000 laureati presso 62 Atenei italiani che rende disponibili online per facilitare l’incontro tra i graduates e le aziende.

AlmaLaurea è un’iniziativa dell’Osservatorio Statistico dell’Università di Bologna che, negli ultimi anni è cresciuta in modo esponenziale raggiungendo, oggi, il 77 per cento dei laureati italiani.

Il sito dell’iniziativa ti permettere di compilare un questionario, che viene utilizzato per fare un’analisi macroeconomica della domanda e dell’offerta del lavoro in Italia, e di pubblicare il tuo curriculum per migliorare le tue possibilità di trovare un lavoro. Secondo il sito, aziende e studi professionali di tutto il mondo consultano quotidianamente la banca dati AlmaLaurea alla ricerca di laureati da assumere.

Dalle loro analisi macroeconomiche vengono fuori delle statistiche interessanti sui neo-laureati italiani. AlmaLaurea dichiara che, a un anno dalla laurea:

  • Il 10,6% dei laureati sta partecipando o ha partecipato ad un’attività di formazione post-laurea;
  • Il 48,75% dei laureati sta lavorando; solo il 36,0% dei laureati svolge però un lavoro stabile;
  • Il 18,9% dei laureati è disoccupato;
  • I laureati guadagnano, in media, 1.004 euro netti al mese.

15 marzo 2011

LE STORIE DEGLI IMPRENDITORI DETERMINATI A RIMANERE IN ITALIA.

Sono sempre stato dell’idea che il fenomeno della fuga dei cervelli sia spesso drammatizzato. Questo è sbagliato perché gli studenti italiani dovrebbero essere incoraggiati a fare esperienze di studio all’estero e non fatti sentire in colpa se cercano possibilità di un’istruzione migliore fuori dalla “terra madre”. Dopo aver fatto tutto il mio percorso di studio in Inghilterra, sono tornato ad occuparmi di Italia e a lavorare per l’Italia in un contesto Europeo. È quello che tutti noi dovremmo cercare di fare per aiutare il nostro Paese.

La nostra nazione, che arranca dietro gli altri Paesi europei e le economie emergenti, ha bisogno di imprenditori, ricercatori, esperti e amministratori pubblici, con una visione del mondo più ampia di quella che spesso ci trasmettono i media Italiani e per questo è utile andare all’estero, ma alla fine, se nessuno ritorna e ha il coraggio di utilizzare le proprie conoscenze per migliorare l’Italia non cambierà mai niente.

In questo contesto ho appreso da poco di una nuova e interessante iniziativa: il Mad in Italy. È una campagna di sensibilizzazione del gruppo di comunicazione Milc che invita gli imprenditori italiani a non mollare il cervello all’estero e coinvolge il mondo accademico grazie all’impegno dei mad che tengono lezioni nei maggiori atenei d’Italia 

Il progetto “Mad in Italy!” intende valorizzare, promuovere e far conoscere le idee imprenditoriali di successo realizzate in Italia, dando spazio a tutti coloro che si sentono “Mad” e che quindi hanno un idea da raccontare: la storia della genesi e della realizzazione della propria idea d’impresa.

Non made in Italy dunque, ma “Mad in Italy!”, dove quel “Mad” rappresenta non solo la genialità dell’idea, ma anche e soprattutto la persona che l’ha avuta e che ha scelto di realizzarla in Italia grazie al suo coraggio, alla sua lungimiranza, alla sua creatività e a quel pizzico di necessaria “lucida follia” che sta sempre alla base di ogni successo imprenditoriale.

Il loro sito internet raccoglie le testimonianze di imprenditori italiani che hanno deciso di rimanere in Italia e che hanno affrontato le difficoltà burocratiche, e non solo, del nostro paese.

Dategli un’occhiata e prendetene spunto!

2 marzo 2011

PROBLEMS ARISE WITH THE UK'S UNIVERSITY REFORMS.

Vi allego un'articolo sui problemi che stanno spuntando con la riforma universitaria in Inghilterra che ho letto sul Times Higher Education Rankings. Nonostante io sia sempre stato un grande sostenitore delle tasse universitarie "flessibili", se accompagnate da prestiti per gli studenti efficienti, mi accorgo che la riforma necesiti di ulteriori modifiche affinché si possa creare un sistema universitario accessibile a tutti e non troppo oneroso per i bilanci statali.

Leader: Count the collateral damage

17 February 2011

We must not let the high-stakes political game being played by ministers and v-cs overshadow the human toll change can exact
What a mess. The catastrophe that is UK higher education grows worse by the day. It is now clear that the coalition government has got its calculations wrong. But it is not going to let that tiny detail stand in the way of a funding policy that - with its slashing of university teaching support and withdrawal of education maintenance allowances - has been described as an act of "economic illiteracy and cultural vandalism" by Nick Barr, professor of public economics at the London School of Economics and an architect of tuition fees.

The Treasury modelled its funding on average tuition fees across the sector of £7,500 a year. Any university that wishes to charge more than £6,000 must negotiate annual agreements with the Office for Fair Access. If these benchmarks are not met, Offa can revoke the agreement and impose a fine of £500,000.
Having done their own sums, however, many universities have concluded that they will have to set fees well above £6,000 just to break even. Politically, the government cannot let that happen, so ministers are now pulling out all the stops. A desperate government now seems to be throwing everything but the kitchen sink at universities. Last week, in an apparent challenge to autonomy, it threatened to change legislation to prevent universities' charges clustering around the upper limit. Then vice-chancellors were apparently told that if they did try to charge £9,000, the Treasury would have to claw back money through the science budget at research-led institutions and through student numbers at teaching-led institutions.

And if that weren't enough for universities to contend with, Aaron Porter, president of the National Union of Students, makes it clear in our cover story that pressure will be applied from below as well as from above by consumer students paying more than ever.

What's the betting that that cosy little deal negotiated between ministers and the leadership of Universities UK to limit the cuts and transfer funding from the state to the student doesn't feel that clever and comforting now?

It certainly places individual vice-chancellors in an unfortunate position. How do they make ends meet and fulfil widening participation duties? And how does the government square its access agenda with targeting post-1992 universities, which are in the vanguard of participation efforts, by stressing that institutions should be judged on retention rates?

New universities will be worst hit by this farrago; and amid the politicking, the institutional calculations and the pricing of courses it may be easy to forget the human costs: lecturers who will lose their jobs and students who will be denied places and opportunities.

This week, our letters pages feature the moving story of one vice-chancellor who became emotional while apprising staff of the difficult situation facing such universities. "Government policy will destroy the outstanding work of many vice-chancellors like ours," the letter writer says. "If there is any moral fibre in the sector, then there will be widespread opposition to what is being proposed. Everyone in the sector, whether in a Russell Group university or a Million+ institution, must know that what we are witnessing is wrong...Are we going to stand by passively and allow this genocide of academe?"

With the White Paper around the corner, that must be the question on everyone's lips.